La mia introduzione al libro di Donato Placido e Antonio G D’Errico ‘Dio e il cinema. Una vita maledetta tra cielo e terra’. Ferrari Editore.
Quella che avete tra le mani non è una semplice autobiografia. E’ molto di più. E’ il racconto di una vita, ma anche una riflessione su quello che ci succede intorno, sulle cose che ci capitano, sul quotidiano. E’ come aprire un libro dei sentimenti, una finestra sulle immagini che più di altre sono rimaste impresse nella mente e nell’animo. Donato Placido si racconta all’amico e allo scrittore. A colui con il quale ha condiviso in passato una serie di esperienze professionali. E forse è proprio per questo che passa in rassegna molti momenti della sua esistenza senza timori, senza nascondere aspetti che potrebbero sembrare troppo personali ma che invece coinvolgono tutti e fanno pensare. Perché scoprire il passato ma anche il presente di un personaggio può essere utile a tutti.
Mentre scorrevo le pagine intrise di significati mi sono guardato indietro e ho ricordato anche le mie esperienze, il lavoro, la fatica per raggiungere dei risultati. Poi mi sono immedesimato nella storia di un uomo che ha vissuto la propria infanzia in un piccolo centro come ce ne sono tanti nella mia provincia, l’Irpinia. C’è un filo sottile che unisce la mia terra a quella di Donato Placido. Nelle sue parole, sembra incredibile, ho ripercorso anche la storia di tanta gente delle mie parti. Uomini semplici ma vividi, pieni di speranze, che si rimboccano le maniche a ogni occasione e si danno da fare per un bene comune. Proprio come Beniamino, il papà di Donato e di Michele. il figlio prediletto, come lui stesso lo definisce.
Quando Donato descrive Michele Placido lo fa con un atteggiamento di meraviglia, come quando ci si trova dinanzi a qualcosa di bello, di affascinante. Ad esempio un quadro o un’opera d’arte. E lui, Donato, prima di altri, aveva capito che quella passione per il cinema da parte del fratello un giorno si sarebbe concretizzata in un’attività vera e propria. Forse l’attore, forse il regista, forse altro. Ma sicuramente Michele Placido, che sin da giovane aveva cominciato a imparare a memoria i lunghi dialoghi di film famosi, avrebbe avuto a che fare con il cinema. E così è stato.
Donato provava affetto nell’ascoltare in silenzio, nel salone di casa, il fratello Michele mentre recitava i versi di alcune famose poesie. Avrebbe voluto stringerlo forte a sé quando c’era chi gli diceva di lasciar perdere, di pensare ad altro, di non insistere con quella storia del cinema. Ma lui aveva già capito e pesato il valore di quel ragazzo affascinante che riusciva a catturare l’attenzione dei propri familiari e che, un giorno, avrebbe catturato quella di un pubblico più vasto.
Anche Donato ha calcato il legno del palcoscenico. Ne descrive l’odore, l’emozione che si prova quando si ha a che fare con autori del calibro di Shakespeare o di Goldoni. Racconta le sue esperienze cinematografiche e la gioia per aver recitato al fianco di grandi professionisti. Ma confessa che la fama del nome Placido, a un certo punto, lo ha perseguitato. Non per colpa di Michele e nemmeno per colpa sua. Non si può chiedere a qualcuno di essere un altro. E’ impossibile.
Donato si è sempre posto dalla parte dei più deboli. Schivo a modo suo, lontano dalle luci della falsa ribalta, quella che rappresenta solo un’illusione ed ha poco a che fare con la vita vera. Estasiato, come lui stesso confida all’amico Antonio G. D’Errico, che ha tradotto fedelmente il suo stato d’animo, da chi è bisognoso d’amore. Questo lo ha spinto a prendere le distanze da tutte le cose inutili che invece regnano nel nostro mondo. Ammette, senza remore, che ha passato momenti difficili, ricevendo conforto dagli uomini più poveri della terra, come il barbone seduto accanto a lui al tavolo della mensa della Caritas.
Ma Donato, dalla sua parte, ha sempre avuto un alleato impareggiabile e superiore a qualsiasi altra cosa o persona. Quell’alleato è Nostro Signore, e lui ha sempre confidato nella forza e nella vicinanza di Dio.
E’ stata proprio la fede a sostenerlo nei momenti più critici, quando le condizioni di vita erano precarie, quando ci si doveva accontentare di poco. Ma quel poco bastava. Perché c’era Dio. E ancora oggi, nonostante le delusioni e le miserie di un mondo ingiusto che lascia poche speranze, dove prevalgono il potere della forza e l’arroganza, è solo Dio l’unica ancora di salvezza.
Antonio Pascotto