Misuriamo il consenso a colpi di like. Quanti amici abbiamo? Ci vogliono bene, approvano quello che facciamo? Vediamo quanti mi piace otteniamo su Facebook, Instagram o Twitter. E i commenti? Beh, a volte è meglio non leggerli. Ci scappa sempre quello che usa un linguaggio poco prudente, tra male parole, offese e molto altro. Perché sui social, secondo quella che sta diventando purtroppo una consuetudine, ognuno può insultare chi vuole e come vuole. In psicologia il fenomeno, sempre che si possa chiamare così, viene definito col termine disimpegno morale. Cioè, chi frequenta i social, non tutti, per fortuna, si sente in diritto di poter utilizzare qualsiasi tipo di linguaggio e di poter insultare, aggredire verbalmente chiunque, offendere e perfino ingiuriare, tanto poi cosa vuoi che succeda. E invece succede che di questo passo diventa sempre più difficile apprezzare quanto c’è di buono sul web e le opportunità offerte, che sono indiscutibili.
Insomma, il disimpegno morale è un mezzo che consente all’individuo di dissinnescare temporaneamente la propria coscienza personale e di compiere atti inumani, addirittura crudeli, continuando a vivere normalmente, senza avere alcun senso di colpa. Il primo a parlarne fu Albert Bandura, uno psicologo canadese noto per i suoi studi sull’apprendimento sociale e i processi cognitivi.
I meccanismi che agiscono sulla condotta immorale e che la rendono accettabile dilagano sul Web. Basta leggere, ad esempio, i commenti alla fine di un articolo pubblicato su una testata giornalistica online. O i commenti ai post pubblicati su Twitter, oppure ai video pubblicati su YouTube. Alcuni sono davvero improponibili. E’ come se il Web autorizzasse ognuno di noi a poter dire qualsiasi cosa e nei modi più volgari. Senza voler approfondire il discorso sul bullismo e sulle prepotenze, che pure trovano sponda attraverso la tecnologia, credo che questi comportamenti derivino dal fatto di non essere accettati. Mi spiego meglio. Chi utilizza linguaggi inappropriati e offensivi è colui che non ha una grande opinione di se stesso, e crede, ma è solo un’illusione, di poter emergere attraverso questo tipo di comportamenti.
Sono intervenuto più volte su questo argomento. A farmi riflettere ulteriormente sulle problematiche relative all’utilizzo di Internet è stato, in questi giorni, il Safer Internet Day, un evento annuale organizzato a livello internazionale. E’ stato istituito nel 2004 per promuovere un uso più sicuro e responsabile del Web e delle nuove tecnologie. Nel corso degli anni è diventato, meritatamente, un punto di riferimento per tutti gli operatori del settore. Solo oltre cento i paesi coinvolti. Quest’anno il motto dell’evento era ‘Together for a better internet – Insieme per un internet migliore’, con lo scopo di far riflettere i ragazzi, e non solo, sull’uso consapevole della Rete e sul ruolo attivo e responsabile di ciascuno nella realizzazione di Internet come luogo positivo e sicuro.
Si è parlato di alleanza tra scuola e famiglia. Esperti, uomini delle istituzioni, professionisti e studenti si sono confrontati, hanno discusso della necessità di trovare nelle tecnologie un alleato per migliorare le cose e per combattere il cyberbullismo. Trovo molto utili queste iniziative. L’uso responsabile di Internet è il modo più efficace per affrontare le insidie del Web. Internet fa parte della nostra vita. Anche la distinzione tra mondo reale e mondo virtuale, oramai, non ha più senso. Il mondo e l’oltremondo, come lo ha definito Alessandro Baricco, oramai viaggiano di pari passo. Siamo presenti nella vita che conosciamo da sempre e in quella online. La Generazione Z, la iGeneration, raggiunge l’adolescenza già con uno smartphone in mano. E le ripercussioni sono notevoli. Le esperienze di vita sono completamente diverse rispetto a quelle del passato. Ed è cambiato il tempo che trascorriamo sui dispositivi digitali. Non per questo gli adolescenti sono più responsabili. Anzi. L’ipotesi di una crescita più lenta preoccupa, e non poco, gli studiosi. Ben vengano, dunque, iniziative come il Safer Internet Day.