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E’ sempre e solo una questione di tempo. La sua concezione cambia a seconda dei periodi, delle persone e delle circostanze. Nel 1969 per andare da Roma a Milano in treno occorrevano circa sei ore.  Il treno veniva definito rapido. Oggi, con il Freccia Rossa, ci si impiega meno della metà. Con l’auto, invece, percorrendo l’autostrada, la durata del viaggio rimane più o meno la stessa di circa 40 anni fa.

La sensazione che il tempo passi velocemente o meno è data anche dall’ambiente. Se facciamo un bel lavoro il tempo passa velocemente. Viceversa, il tempo non passa mai. Se, ad esempio, assistiamo a un bel concerto, il tempo acquista un valore diverso e sarà difficile paragonare quelle ore trascorse ad ascoltare musica rispetto allo stesso periodo di tempo necessario per svolgere un’attività più noiosa.

Parliamo, dunque, di tecnologia? Cosa c’entra?  C’entra molto, considerando che oggi, grazie ai mezzi di comunicazione sempre più sofisticati, riusciamo a fare molte più cose in tempi decisamente ridotti rispetto al passato. Ma tutto ciò ci rende più felici? Prendiamo i telefonini. Grazie a WhatsApp, a Facebook e ad altri social, siamo in continuo contatto con altre persone, amici o conoscenti che definiamo amici. Le nostre prospettive sono cambiate. Così come i nostri sentimenti. Il nostro sguardo è sempre rivolto in basso, sul display del cellulare o del tablet. E i nostri rapporti sono sempre più virtuali.

In questo panorama è indicativo il titolo di un libro scritto da Paolo Crepet, Baciami senza rete.  Il volume nasce da una scritta apparsa su un muro di Roma: “Spegnete Facebook e baciatevi”. Parole che sintetizzano nel migliore dei modi l’epoca in cui stiamo vivendo. Nessuna accusa contro la tecnologia, ci mancherebbe. La tecnologia è utile, fondamentale, facilita le nostre vite in molti campi. Tuttavia è necessario fermarsi a riflettere su quegli aspetti che stanno modificando così tanto le nostre esistenze per comprendere e affrontare questa fase di cambiamenti e di transizione affinché si utilizzi nel miglior modo possibile il tempo a disposizione. Il tempo, appunto.

Visto che grazie alla tecnologia riusciamo a fare molte più cose, vale la pena dedicare più ore allo svago, alla distrazione. Distrarsi fa bene alla salute e alla creatività. E’ quanto sostiene Michael C. Corballis, un professore di psicologia dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda. Senza distrazione non c’è pensiero, afferma Corballis. In fondo è quello che diceva anche Steve Jobs, ovvero essere creativi significa vedere qualcosa che fino a quel momento non c’era. E allora la distrazione diventa una speciale forma di concentrazione. Perché la mente non si ferma mai.

La distrazione, lo svago, l’ozio. Nella sua raccolta di saggi, Elogio dell’ozio, Bertrand Russel sostiene che si lavori al massimo quattro ore al giorno per pensare, socializzare a fare altre attività. La negazione del proverbio ‘l’ozio è il padre di tutti i vizi’ si traduce in una presa di coscienza da parte del filosofo e matematico, convinto che in questo mondo una serie di mali incalcolabili siano derivati dal lavoro inteso come una cosa santa e virtuosa. Già all’epoca, invece, Russel auspicava una campagna di propaganda per insegnare ai più giovani a non fare nulla. Perché la strada per la felicità e la prosperità si trova proprio in una diminuzione del lavoro. Russel se la prende con i proprietari terrieri, che a loro volta sono oziosi ma solo perché il loro ozio è reso possibile dal lavoro degli altri. Mentre, se il salariato lavorasse quattro ore al giorno, ci sarebbe una produzione sufficiente per tutti e la disoccupazione finirebbe.

Di ozio creativo parla Domenico De Masi, professore di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma. La sua teoria, a proposito del lavoro, non si discosta di molto da quella di Bertrand Russel. Ma il professore va oltre, adeguando il suo pensiero ai tempi moderni. Esiste una prospettiva diversa, scrive De Masi, che ci può guidare fuori dallo smarrimento dei nostri tempi. Una prospettiva che il professore definisce Una semplice rivoluzione. Nel momento in cui la tecnologia è entrata così prepotentemente nelle nostre vite, rendendoci raggiungibili ovunque, dagli amici, dai nemici, localizzati attraverso i cellulari e altri dispositivi a cui affidiamo memoria, senso di orientamento, tempo libero e rapporti con le persone, non sarà il caso di staccarsi ogni tanto per recuperare quella parte di tempo che ci è stata tolta?

Non si tratta di essere avversi al progresso tecnologico. Non siamo come i Greci che nella antica Atene disponevano ciascuno di otto schiavi che in pratica si occupavano di tutto. Del resto, era chiaro che avanti così non si poteva andare e prima o poi quella pacchia doveva finire. Tuttavia è proprio dal tempo libero che nasce la civiltà, come sosteneva il grande filosofo russo Alexandre Koyré. Oggi quasi il 70 per cento della popolazione attiva lavora più con il cervello che con le braccia. La compresenza in molti casi non è più necessaria, e per i lavoratori intellettuali è sempre più difficile scindere il proprio mestiere da quello che viene definito ozio creativo.

Essere creativi è un istinto, e proprio l’ozio fa scattare la scintilla, l’idea, accende la lampadina che illumina la mente. Molte aziende nella Silicon Valley mettono a disposizione dei propri dipendenti sale relax, ambienti destinati al gioco, al divertimento, allo sport, per rendere più attraente il lavoro ma soprattutto per abbattere la barriera tra attività e tempo libero e per sollecitare la mente a nuove e sempre più utili invenzioni. La riconquista del tempo, paradossalmente, valorizza ancora di più le opportunità offerte dalla tecnologia. E organizzare nel migliore dei modi le proprie giornate rappresenta una delle principali sfide del futuro.

 

Immagine di copertina: Noon – Rest from Work (after Millet) – Mezzogiorno – Riposo dal lavoro (dopo Millet), Vincent Van Gogh, 1890.

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