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In un libro dal titolo Irresistibile. Come dire no alla schiavitù della tecnologia[1], Adam Alter, professore alla New York University, si pone molteplici interrogativi sugli effetti della tecnologia, partendo proprio da nomi illustri come Steve jobs, Evan Williams, uno dei fondatori di Twitter, e Chris Anderson, già direttore di Wired. Tutti avevano una cosa in comune: vietare ai figli o far utilizzare il meno possibile i dispositivi presenti in casa. E questo la dice lunga sugli effetti del Web.

Per Alter le tecnologie generano dipendenza come una droga. Il loro magnetismo straordinario, e qualche volta dannoso, non è casuale. Le aziende che le progettano ne aggiornano le caratteristiche finché diventa impossibile resistervi. “Riconoscono – scrive Alter – che gli strumenti da loro promossi, pensati per essere irresistibili, finiranno per intrappolare indiscriminatamente i loro utenti”. Qual è, allora, la soluzione? Intanto il primo suggerimento è quello di difendersi controllando e utilizzando al meglio queste tecnologie, in grado, comunque, di collegare persone che si trovano nei punti più lontani del globo. Evitando di controllare ossessivamente le mail, i mi piace su Instagram, i post su Facebook o i video su YouTube. Occupiamo una media di tre ore al giorno sullo smartphone, la metà di noi preferirebbe rompersi un osso piuttosto che rinunciare al telefonino collegato con Internet, e i millenials passano così tanto tempo davanti agli schermi che faticano a interagire con gli esseri umani in carne e ossa.

[1] Adam Alter, Irresistibile. Come dire no alla schiavitù della tecnologia, Giunti, Firenze, 2017.

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