I mestieri che si inventano. Quando necessità impone. Alle soglie del 2018, nonostante la tecnologia e il futuro che avanza, c’è chi si organizza per affrontare di petto la crisi e portare a casa il pezzo di pane. Sono rimasto molto colpito da un articolo di Sara Scaraffia pubblicato sul Venerdì di Repubblica, dove si parla di chi ha perso il lavoro e se ne è inventato un altro praticamente sparito. Anche questa è creatività.
Il lavoro in questione è quello del lustrascarpe. Scaraffia cita otto nuovi lustrascarpe che hanno ‘aperto’ la loro attività a Palermo. Si sono riuniti in cooperativa e hanno dato vita alla loro impresa che consiste nel lucidare stivali e mocassini ai passanti. Si sono posizionati in otto strade frequentate della città e sbarcano così il lunario.
Ammirevole. Ancora di più se si pensa che gli otto ‘imprenditori’ arrivano da lavori di tutt’altro genere. Uno faceva il pubblicitario, un altro l’odontotecnico, poi c’è un ex impiegato notarile, una ex operaia, una ex segretaria. Lavori svariati, insomma, dal consulente finanziario al cuoco. Tutti si sono rimboccati le maniche e hanno colto al volo una opportunità. Il salario non è dei più soddisfacenti. Lucidando scarpe si guadagna dai 50 ai 60 euro a settimana. Ma è solo l’inizio, e i nuovi imprenditori lustrascarpe ci credono.
Dall’album dei miei ricordi sfoglio le pagine all’indietro e torno a circa 50 anni fa. In piazza Libertà, accanto al portone di Palazzo Testa, ex Vanvitelli, nella mia Avellino, c’era un lustrascarpe piuttosto noto. Si chiamava Esterino.
La sua postazione era proprio accanto al negozio di ottica della mia famiglia e al salone di barbiere di mio zio. Frequentando la zona mi recavo spesso da Esterino, anche per lucidare i miei sandali, quelli che si portavano tanto tempo fa. Si allacciavano con una fibbia laterale, aperti sul dorso per mantenere il piede fresco, e avevano due occhietti sulla parte alta.
Esterino era abituato a lucidare le scarpe dei grandi, quelle completamente chiuse. Con i sandali non era facile pulire la scarpina. Però ogni volta che mi recavo da lui sorrideva, appoggiava sulla spalla l’arnese del mestiere, il panno per lucidare, e mi faceva cenno di accomodarmi sul suo vecchio sgabello.
Ricordando Esterino il mio pensiero va ai nuovi sciuscià di Palermo. Armati di creme, spazzole e pelli, affrontano così il futuro. Perché, come canta Edoardo Bennato in una sua bellissima canzone, ‘Questi sono mestieri che si inventano, alla scuola dei sogni che non contano. Questi sono mestieri, piccole occasioni, per giocare col futuro e restarci dentro un po’ di più’.