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Non dobbiamo farci distrarre da quello che combinano gli algoritmi. Ne ho parlato più volte perché è uno dei temi più dibattuti di questi anni. Il flusso di informazioni è continuo e la nostra capacità di riflettere prima di compiere un’azione o di rilassarci dopo aver svolto un compito impegnativo o dopo una giornata di lavoro, viene penalizzata. La leggenda vuole che la nostra capacità di attenzione sia inferiore a quella di un pesce rosso. Solo 8 secondi a fronte dei 9,2 del pesce. Un tempo davvero limitato per prendere una decisione e darsi da fare. C’è chi sostiene che si tratta di una statistica alterata, un po’ fasulla anche se, al di là delle prove, sostenere che la nostra concentrazione sia stata messa a dura prova è innegabile. La stessa Microsoft, a tal proposito, realizzò uno studio per monitorare l’attività cerebrale delle persone e il risultato fu che la soglia di attenzione è nettamente calata. E allora dobbiamo allenarci, prendere le contromisure per contrastare questo fenomeno di distrazione di massa. Chi arriva dal mondo analogico si è adattato a un nuovo modo di vivere. Coloro che sono nati digitali forse non se ne rendono conto, ma il sovraccarico di informazioni riguarda tutti. E coinvolge vari aspetti della nostra esistenza, finanche il morale di una persona, oltre alla capacità di gestire pensieri e idee. Crediamo di pensare su larga scala ma sono i bit che si adoperano per noi. Una comodità ma anche un limite. Per evitarlo si possono fare cose semplici, alla portata di ognuno, senza l’ausilio dello smartphone, senza collegarci con la Rete, dove ogni azione viene mediata dal software, dagli algoritmi, da un ambiente digitale che diventa familiare perché costruito secondo le nostre esigenze. Ogni tanto occorre staccare per evitare di rimanere impigliati in un meccanismo che non sempre ci porta dove vogliamo andare, anche se non ne siamo consapevoli. Personalmente approfitto dei momenti liberi per leggere un buon libro, da sempre il mio vero metaverso, o per dedicarmi ad attività ludiche dove non c’è nemmeno un’ombra di tecnologia. Una specie di ricreazione per mettere da parte telefonini, computer e visori per la realtà aumentata. A casa di amici, qualche giorno fa, abbiamo deciso di riprendere a giocare a Monopoli, il gioco da tavolo più famoso del mondo, una vecchia passione mai dimenticata. Un passatempo che si basa sul concetto economico di monopolio, quindi sul dominio del mercato da parte dei giocatori. Per noi è diventata una sfida contro il dominio delle Big Tech e dei grandi gruppi che operano in Rete. Abbiamo giocato con il classico tabellone, quello originale, tentando di acquistare le caselle migliori dove poter costruire case e alberghi – uno degli obiettivi del gioco – superando imprevisti, probabilità e prigione, che costringe il giocatore a fermarsi per due turni. A fermarci e a staccare la spina con il mondo digitale siamo stati noi. Tutti, tranne uno, il più distratto di tutti. Mentre tirava i dadi rimaneva contemporaneamente attaccato al telefonino per fare non si sa cosa. È rimasto in prigione più volte, e più volte si è fermato su Vicolo Corto e Vicolo Stretto. Più in generale, a detta dei partecipanti, si è fermato in un vicolo cieco.

NELL’IMMAGINEÉdouard Manet, La colazione sull’erba, 1863, Parigi, Museo d’Orsay

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