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Quando mia madre arrivava a scuola per il colloquio con i professori tutti le dicevano: «suo figlio è intelligente, per questo potrebbe fare molto di più.» Questa storia dell’intelligenza me la sono portata appresso per anni. Era diventata una specie di scusa. Cioè, mi trinceravo dietro il fatto che potevo sembrare intelligente anche se non mi impegnavo a fondo nelle attività scolastiche. Una intelligenza artificiale a modo mio insomma. Ma si trattava di un’illusione. Come quella che oggi accompagna ogni discorso sull’Intelligenza Artificiale. A partire dal rapporto che abbiamo con le macchine che consideriamo più intelligenti di noi. Ma è solo una nostra percezione. Computer e robot sono veloci e siamo meravigliati di questa loro capacità. Poi una convinzione abbastanza diffusa: pensano. Ma non è così. La memoria di un pc non può essere come la nostra. E non c’è traccia di emozioni. È già difficile capire come funziona il nostro cervello, figuriamoci se è possibile affermare che un robot possa provare un qualsiasi sentimento. Le macchine sono state create dall’uomo e sviluppate a sua immagine e somiglianza. Forse è per questo che le vediamo come se fossero esseri pensanti. C’erano cascati pure illustri scienziati che paragonarono il cervello umano a quello di un robot. L’esperienza ci ha convinti del contrario.

Esploriamo l’ecosistema digitale come se fossimo degli esperti anche se non ne capiamo nulla. Quel senso di intelligenza che avvertiamo nelle macchine artificiali ha offuscato la nostra vista. Simulazioni che alimentano il nostro Io quotidiano, piccoli grandi inganni che ci hanno indirizzato verso un mondo distorto dove la fantasia diventa realtà. Come per i tradizionali media, anche tutto quello che ha a che fare con l’Intelligenza Artificiale è un’estensione dei nostri corpi. Siamo una razza in via di trasformazione che non ha nemmeno più bisogno di interfacce. Ci muoviamo nei nostri spazi tra droni, sensori, telecamere e auto a guida autonoma. La realtà è quella che percepiamo, e cambia a seconda delle simulazioni e dei mondi che ci vengono presentati. È quella del metaverso o della realtà aumentata, dove alle immagini dell’ambiente vero che ci circonda si aggiungono quelle create dai computer, digitali e tridimensionali. È quella del teletrasporto. Secondo il fisico giapponese Michio Kaku entro i prossimi anni potremo già teletrasportare la prima molecola.  Trasformiamo la realtà per cambiare noi stessi, per essere più intelligenti. E lo siamo davvero, aiutati dalla tecnologia. Chissà cosa direbbero oggi gli insegnanti a mia madre.

NELL’IMMAGINE: Foto da Pexels di Tara Winstead

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