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Ero alle prese con l’agenzia immobiliare alla ricerca di un appartamento nella zona di Milano. Un lavoraccio, che porta via molto tempo. Ma è una di quelle cose di cui non puoi fare a meno, perché una casa, prima di comprarla o di affittarla, la devi vedere. Non puoi scegliere sulla carta, non puoi fidarti solo delle fotografie affisse nella bacheca dell’agenzia. Non puoi solo navigare sul web e passare da un annuncio all’altro. Te ne devi occupare di persona, e diventa un lavoro vero e proprio. Altro che percentuale per chi ti vende l’immobile. Dovrebbero pagarti, e quindi farti un super sconto sulla cifra da versare. Quando poi hai anche la necessità di fare presto perché non puoi continuare a vivere in un albergo o in un residence diventa ancora più difficile. La fretta, si sa, non porta buoni consigli. E parafrasando Erodoto, potrei dire che la fretta genera l’errore in ogni casa.[1]

Quella mattina avevamo appuntamento con due agenti immobiliari in una zona più vicina a Monza che a Milano. Al piano rialzato di una piccola palazzina c’era un appartamento di cinque vani più cucina, bagno, doppio servizio e una cantina. Aveva un prezzo interessante e con mia moglie decidemmo di visitarlo. Fino a quel momento ne avevamo visti almeno una trentina e di tutti i tipi: piccoli, grandi, in buone condizioni o messi male, al centro o in periferia.

Quando entro in una casa mi colpiscono subito gli oggetti che più di ogni altra cosa raccontano le storie di chi ha vissuto tra quelle mura. E le foto appese alle pareti non lasciavano alcun dubbio. Tra navi e marinai c’era il ritratto di un bell’uomo in divisa. Un ufficiale di Marina, che guardava con orgoglio i suoi uomini. Perché un comandante va fiero della sua squadra. In questo caso della sua flotta. Mi sembrò di sentirli, sul ponte della nave, mentre lui salutava e pronunciava il discorso di commiato: “Siete un esempio, uomini valorosi, animati dal sacro furore, pronti a dare sempre il massimo”. Il bianco della divisa rendeva quella figura autorevole ma non autoritaria, piuttosto determinata ma umana. Anche nella vita privata l’ufficiale si presentava come una persona distinta e cordiale, a vedere i ritratti con la moglie, una donna alta e affascinante, e i tre figli, due maschi e una femmina. Su uno dei mobili del salotto facevano bella mostra quattro modellini di navi: la Amerigo Vespucci, una nave da guerra Bismarck, una nave da guerra americana Flatcher e una da combattimento giapponese Yamato. Li ricordo perché scattai delle foto con il cellulare.

Un documento originale, incorniciato, era appeso al muro nel disimpegno dell’ingresso. Non era un diploma, bensì la lettera di un combattente della Seconda Guerra Mondiale. Non ebbi il tempo di leggere le parole, ma dovevano essere molto importanti se l’ufficiale aveva avuto l’accortezza di incorniciare quella lettera e tenerla bene in vista nel suo appartamento.

La stanza da letto era semplice, come del resto tutta la casa. Mobili essenziali: l’armadio, lo specchio, comò e comodini. Poi le immagini della Madonna e di alcuni Santi appesi al muro e le tende. Tutto ordinato. La cucina era di quelle anni Settanta, elegante e discreta. Nel salotto c’erano un divano e due poltrone in noce stile Luigi XIV. Un po’ pesanti per i miei gusti, ma erano ben assortiti con il resto dei mobili della casa. Anche lo stile dello studio era classico, dalla libreria in vetro ai due scaffali laterali. E lo scrittoio, in massello e abete, multipiano, con dieci cassetti più uno grande, al centro, con serratura e chiave. Sui ripiani di alcuni mobili una lunga serie di foto incorniciate che riproponevano come in un film la vita dell’ufficiale, dalla sua adolescenza al matrimonio, fino alla nascita dei figli e dei nipoti. Poi quelle della professione, i momenti più belli, gli avvenimenti che non si possono dimenticare.

Sullo scrittoio c’erano ancora gli occhialini del padrone di casa, legati a un cordoncino, di quelli che servono per appenderli al collo. L’ufficiale li inforcava per leggere le lettere, forse qualche libro, sicuramente per controllare data di scadenza e controindicazioni dei medicinali che erano rimasti accatastati sullo scrittoio, così come una serie di documenti, appunti e bollette del gas e della luce. Non era stato toccato niente da quando era morto. Come se non fosse successo nulla, come se lui fosse ancora in vita. Stavamo per lasciare l’appartamento quando la mia attenzione fu catturata da due contenitori poggiati su un mobile basso del soggiorno. Sul primo a sinistra c’era il nome della moglie dell’ufficiale, sull’altro quello del marito. E le date di nascita e di morte. Erano le due urne, rigorosamente sigillate, con le ceneri dei coniugi. Guardai con stupore, lo ammetto, gli agenti immobiliari. Chiesi come mai, prima di far visitare la casa, le due urne non fossero state conservate in un luogo diverso, magari nell’abitazione di uno dei figli dei defunti, oppure in una cappella, o comunque in un posto sicuro e più discreto, lontano dagli occhi di chi era intenzionato ad acquistare l’appartamento. Nessuna risposta, ma il silenzio dei due agenti immobiliari valeva più di ogni spiegazione.  Non feci altre domande. Solo una richiesta, quella di rimanere altri cinque minuti nell’appartamento. Giusto il tempo per fermarmi davanti alle due urne e recitare L’Eterno riposo.

[1] La fretta genera l’errore in ogni cosa – Erodoto

NELL’IMMAGINE: “Giovanni Giacometti legge alla finestra – Parigi (Giovanni Giacometti am Fenster lesend – Paris)” 1890, olio su tela, 41 x 32.5 cm Collezione privata

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