Non è la solita storia tra il bene e il male. A Bucha abbiamo visto tutto quello che gli uomini sono capaci di fare. Lungo le strade della città, alla periferia di Kiev, i corpi a terra senza vita di tanti civili che con la guerra non avevano nulla a che fare sono l’esempio più atroce. Bucha come un cimitero dell’orrore, tra resti di persone carbonizzate, in mezzo al fango, lasciate lì come sacchi vuoti, e cadaveri gettati in fosse comuni. Bambini, anziani, uomini uccisi senza pietà mentre tentavano di scappare, di trovare un rifugio al passare dei soldati. Le donne spogliate e picchiate, stuprate e poi bruciate. Quello che è successo a Bucha come in tante altre città dell’Ucraina, da Irpin a Kramatorsk, supera ogni limite. Parlare di crimini di guerra sembra quasi riduttivo. I massacri compiuti in questi territori ci hanno fatto dimenticare il significato che avevamo dato al termine civiltà. Tutto azzerato, dimenticato, come se la storia non avesse insegnato nulla. Nelle buche, assieme ai corpi di tanti innocenti, sono stati gettati almeno gli ultimi cento anni di quella che chiamavamo umanità. Le lacrime non bastano, l’odore della morte e del terrore arriva in tutte le case del mondo anche attraverso i resoconti delle cronache degli inviati di guerra. Si muore così, oggi, nel 2022, nell’era di Internet e della tecnologia, delle imprese spaziali e delle scoperte scientifiche. Ma quando tutto sembra finito, davanti ai volti dei superstiti, di chi ha visto la morte da vicino, davanti ai disperati che hanno lavorato una vita intera per costruirsi una casa e ora non hanno più nemmeno un tetto dove ripararsi, spunta una piccola fiamma. Perché c’è ancora spazio per la speranza nel buio del tunnel dove siamo tutti finiti.
La vediamo nelle immagini di chi presta soccorso, nelle azioni di chi parte per le terre martoriate senza pensare al pericolo, alla fatica e al dolore che si prova quando si tocca con mano l’orrore. Loro sono gli angeli che tentano di cancellare le mostruosità portando aiuti a chi ne ha bisogno. Li vediamo in azione quando c’è una catastrofe, un’alluvione, un terremoto. Sono i volontari, che ancora una volta non hanno perso tempo. Si sono recati nelle zone di guerra per stare al fianco di tanta povera gente, nei posti dove mancano acqua, cibo, corrente elettrica, medicinali. C’è chi è riuscito a raggiungere l’Ucraina e chi invece si è recato nei Paesi dove milioni di persone sono fuggite: Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia. Un sostegno concreto per i tanti sfollati, per i bambini, per gli anziani. E’ l’altra faccia del conflitto, è la luce che appare all’improvviso nell’oscurità. Sono partiti con i loro carichi di umanità. Hanno viaggiato per ore e lavorato senza sosta. Sono andati incontro ai loro fratelli dai volti impauriti e spaesati. Li hanno abbracciati e soccorsi. No, non è la solita storia tra il bene e il male.
NELL’IMMAGINE: Le Bien et le Mal – 1832 – Victor Orsel [OULLINS, 1795 – PARIS, 1850] – Musée des Beaux-Arts Lione