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Il gioco del silenzio: da bambino era uno dei miei preferiti. Da non confondere con quello di montessoriana memoria, dove uno dei partecipanti doveva mostrare, in assoluto silenzio ad un altro giocatore, i pugni delle mani chiuse. In uno dei due, si doveva indovinare quale, era nascosto un gessetto o un altro piccolo oggetto. Il mio giochino era altrettanto semplice e molto divertente. Dovevi incrociare lo sguardo dell’avversario in silenzio e senza fare smorfie. Chi rideva per primo doveva pagare pegno. E tutto finiva sempre tra scroscianti risate. Oggi hanno addirittura creato un format televisivo simile al nostro vecchio e divertente passatempo.

Ecco, il silenzio. Non conosciamo più il suo significato, la sua forza dirompente. Eppure durante il lockdown, tra piazze e strade vuote, lontane dai soliti frastuoni, avremmo dovuto comprenderne il peso. Ma forse, per quello che stava accadendo, hanno prevalso l’angoscia, la paura, la fobia.

Invece dovremmo apprezzare il suono del silenzio e la sua capacità di renderci meno ansiosi, più attenti e tranquilli. Il silenzio dovrebbe farci recuperare quelle capacità di concentrazione, di meditazione, di osservazione. Dovrebbe tranquillizzarci per farci stare in pace con noi stessi e con gli altri.

Secondo il metodo Montessori il gioco del silenzio, quello del gessetto, aveva lo scopo di favorire la consapevolezza interiore del bambino, che così avrebbe provato piacere nell’ascolto, migliorando il proprio autocontrollo. Evidentemente questa lezione è stata dimenticata. E anche il gioco.

Il silenzio è una pratica in disuso. Nessuno ha la capacità di attendere il proprio turno, di avere la pazienza di aspettare e di ascoltare gli altri. Dobbiamo intervenire a tutti i costi, parlando e sparlando, senza tenere conto delle ragioni degli interlocutori. Si partecipa a un dibattito già sapendo di non rispettare il proprio turno e di interrompere la discussione per alimentare la polemica. Succede nel talk televisivi. Soprattutto quando si parla di politica. E di questi tempi anche quando si affronta la questione Covid. Non c’è nessuno, tra gli ospiti dei programmi televisivi, che riesce a rimanere in silenzio quando parlano gli altri. Si deve interrompere sempre. Perché fa scena, forse audience. Io sono sempre stato scettico rispetto alla logica dello share. E provo un forte disagio quando mi trovo al cospetto dei protagonisti delle zuffe verbali.

Succede anche sui social. E non è solo una questione di chiacchiericcio. Spesso si parla a sproposito. E si ribatte, si critica, senza tenere minimamente conto di quello che si vuole dire, di quello che si vuole trasmettere, fosse anche solo per una riflessione. Basta attaccare, denigrare, offendere con parole sgarbate e insulti di ogni tipo. Non è solo una questione di rumore e di decibel. Anche sul web abbiamo dimenticato il valore del silenzio.

NELL’IMMAGINE: Paris Nogari, Allegoria del silenzio. 1582, affresco, Città del Vaticano, sala degli Svizzeri.

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