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Ho letto che in questi primi mesi del 2021 il vinile ha sorpassato il cd. Cioé, si sono venduti di più i dischi tradizionali rispetto ai compact disc, i dischi ottici utilizzati per la memorizzazione di informazioni in formato digitale. E’ una specie di ritorno al futuro. Della serie: corsi e ricorsi storici. Era accaduto con la radio, tornata in auge dopo anni di supremazia televisiva. Di recente è accaduto con i libri di carta. Anzi, con i libri in generale, che forse, anche grazie al lockdown, hanno avuto una impennata nelle vendite.

Devo dire che la notizia mi riempie di gioia. Sono un appassionato dei dischi in vinile. Ho una discreta collezione. Li continuo ad acquistare. E soprattutto i ricordi legati agli Lp di antica memoria sono tantissimi.

Ero giovanissimo quando la domenica mattina, di buon’ora, scendevo da casa per recarmi alla radio locale, dove conducevo un programma. Percorrevo a piedi un lungo tratto di strada, perché gli studi si trovavano lontano dal centro, su una collinetta. Non era comodo, ma tutto si superava per quella passione che ancora oggi non mi ha abbandonato. Portavo con me una borsa piena di dischi. 33 giri, quasi tutti in testa alle classifiche. Ma anche qualcuno più vecchio, sempre gradito.

Tra un disco e l’altro, nel programma, che durava diverse ore,si parlava di attualità, curiosità, delle notizie più importanti della settimana. Facevamo anche un giochino, e gli ascoltatori che rispondevano esattamente alle domande vincevano un premio messo a disposizione dagli sponsor. Insomma, un contenitore domenicale che ci regalava parecchie soddisfazioni dandoci la possibilità di conoscere molte persone.

All’epoca non c’erano i telefonini e non c’era internet, e quello era un modo per dialogare con la gente e scambiarsi opinioni. Noi, i ragazzi della radio, eravamo da questo punto di vista fortunati.

Il piatto forte era la musica, ovviamente. In tanti ci telefonavano da casa per richiedere la canzone preferita. O anche per dedicare un brano al fidanzato o alla fidanzata, al marito, alla moglie, a un amico o comunque a una persona cara. Le frasi erano tipo: ‘A Maurizio con tanto affetto da Eleonora’. Oppure: ‘A Carlo con amicizia’ e così via. Si andava avanti per tutta la mattinata tra un brano musicale, una dedica, una chiacchierata e così via.

I 33 giri sono belli da vedere. Si chiamano album, perché si aprono, si sfogliano come un libro. E come un libro si annusano. All’interno, dopo aver aperto la busta di cellophane che li protegge, non c’è solo il disco vero e proprio, ma i testi delle canzoni, le foto, o le illustrazioni di artisti che spesso si sono prestati alla musica per disegnare la copertina dell’Lp e a volte anche gli interni.

Molti dischi sono ricordati proprio per le cover: la banana di Andy Warhol per l’album The Velvet Underground & Nico, la copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles firmata da Peter Blake, dove si vedevano i baronetti di Liverpool nei panni di una band di epoca vittoriana, le loro statue di cera e una serie di personaggi noti e meno noti, tra cui Stan Laurel, Marylin Monroe, Einstein, Marx, George Bernard Shaw e molti altri. A me piaceva molto quella disegnata da Aubrey Powell e Storm Thorgerson per Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, con il fascio di luce che passa attraverso un prisma per separare il ventaglio di colori che lo compongono.

In Italia rimangono indimenticabili le copertine di Andrea Pazienza per i 33 giri di Roberto Vecchioni: da Robinson a Montecristo, passando per Hollywood Hollywood. Ma ne potrei citare molte altre.

La mia passione per il vinile, però, nacque già con i 45 giri. Li ascoltavo in un mangiadischi che mia madre aveva comprato negli anni sessanta. Un Philips che, contrariamente ad altri mangiadischi portatili, era abbastanza ingombrante. Aveva l’ingresso per il disco, una specie di bocca che, appunto, mangiava i 45 giri, due manopole per l’accensione e per il volume dell’audio e la parte della cassa dove fuoriusciva il suono. Era rosso e bianco, con la maniglia gommata per il trasporto. Ma non lo spostavo mai dal mobile di casa, dove faceva bella mostra di sé, per evitare che si rompesse. Un gioiello, insomma, che andava custodito. Infatti, dopo aver ascoltato i dischi, toglievo le batterie e lo coprivo on un panno per evitare che prendesse polvere.

Qualche anno dopo comprai un altro mangiadischi. Era un modello più nuovo, piccolo e portatile. Il designer viene ricordato ancora oggi, perché fu realizzato dall’architetto Mario Bellini per la Minerva. Il suo nome era proprio Minerva GA Pop. Mi piaceva di meno, ma il Philips si era rotto e non suonava più.

Anche i 45 giri hanno fatto la storia. Oggi si chiamano singoli. All’epoca contenevano due brani, uno per lato. Quello più famoso, destinato alle classifiche, era inciso sulla facciata A. Uno dei più suonati, a casa, era 4 marzo 1943 di Lucio Dalla. A furia di ascoltarlo il disco si era consumato, la puntina sui solchi provocava un fruscio costante e il brano saltava di continuo. Ne comprammo un altro, per continuare ad ascoltare quella bellissima canzone. Nella libreria, accanto agli Lp, c’erano anche tantissimi 45 giri. Tra i vari traslochi di casa sono andati persi quasi tutti, ma qualche volta, andando a Porta Portese, il mercato più grande di Roma, ne recupero qualcuno. Perché in un mondo liquido, smaterializzato, abbiamo sempre bisogno della fisicità.

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