Mai come in questo periodo ci sentiamo soli. Hai voglia a dire che su Facebook o su Instagram abbiamo migliaia e migliaia di contatti. “Io ho 4mila amici su Facebook”. “Io 5mila, ho dovuto pure aprire un altro profilo, perché il primo non bastava”. “Io su Twitter ho fatto il pieno di follower”. “Su Instagram viaggio sui 700mila”. Insomma, diamo i numeri. Ma in fondo, complice anche la pandemia, chiusi nelle case, rimaniamo soli, spesso assorti nei nostri pensieri. Non che la cosa dispiaccia, a volte. Perché si riesce a dare un senso anche alla solitudine. In un tempo che viene definito sospeso abbiamo anche riscoperto di essere bravi lettori. Abbiamo divorato libri e continuiamo a farlo. E telespettatori incalliti. Ingurgitiamo serie su serie, puntate su puntate, non ci bastano mai. Siamo avidi. Del resto è quello che vogliono gli algoritmi.
Ma ci sono dei risvolti che provocano stress e mettono a dura prova le coppie, costrette a una convivenza forzata. Leggo che sono aumentati i divorzi. Le misure restrittive hanno consumato i legami. E l’amore. Come dire: prima del virus ci eravamo illusi, ma ora abbiamo le idee più chiare. Eppure era stata proprio la paura a farci sentire più vicini. Forse, allora, si trattava solo di questo? Credo che sia troppo presto per fare bilanci. Occorre aspettare. Certamente c’è la rabbia che in molti hanno accumulato per la mancanza di quel contatto sociale che riusciva a riequilibrare i rapporti. Non ci sono gli abbracci e le strette di mano. Tutto vero. Ma dobbiamo cercare di reagire e riscoprire, come dicevo, piccoli gesti che diventano grandi. E se ci mancano le cenette, possiamo allenarci in cucina in attesa di tempi migliori. Saremo pronti a ospitare al meglio i nostri amici preparando per loro gustosi manicaretti. E magari, a fine cena, potremo imbracciare la chitarra che nel frattempo era stata accantonata in soffitta, per canticchiare il brano preferito. Si, perché il lockdown può servire anche a riscoprire vecchie passioni dimenticate, come quella di suonare uno strumento musicale. Utile a placare l’irrequietezza di una chiusura forzata in casa.
A parte le coppie in crisi, i più penalizzati sono i giovani. La loro capacità di adattamento a comunicare con gli altri attraverso videochat e social non basta. Non bastano i vari Zoom o Skype, o Microsoft Teams per sentirsi più vicini. Le cronache ci restituiscono ogni giorno storie di studenti che manifestano davanti ai loro istituti per chiedere che venga messa la parola fine alla didattica a distanza. Chi l’avrebbe mai detto. C’è la voglia di tornare tra i banchi, perché Internet è una finestra sul mondo, è vero, ma dietro allo schermo di un computer o al display di un cellulare c’è tutta una vita. E nessuna tecnologia digitale potrà mai sostituire quello che stiamo perdendo. Anche in questo caso è necessario trovare le risorse per combattere apatia e mancanza di fiducia generate dalle restrizioni. Il secondo lockdown è più faticoso del primo. E allora diamoci una motivazione. Con l’auspicio di non sentire più qualcuno che dica: “è una generazione dimenticata”.
Personalmente non ho mai demonizzato la solitudine. Lo dicevo all’inizio. L’ho pure scritto in qualche libro. Forse non è un bell’esempio. Ma a volte, quando sono solo, riconquisto dei momenti di assoluta libertà che agevolano la riflessione. Lo dico perché i ritmi imposti dalla routine quotidiana e dalla stessa tecnologia ci hanno reso distratti. Passiamo troppo in fretta da una cosa all’altra. Sul Web ottieniamo subito la risposta a un nostro quesito . Il nostro cervello traduce le informazioni ma non si concentra per più di una manciata di secondi. Oggi, separati dal contesto sociale, che prima della pandemia incuteva timore, ci sentiamo meno sicuri, e il Web non è più il ripiego o il rifugio dove si rischia di meno rispetto al contatto diretto con le persone. Non dimentichiamolo quando tutto sarà finito.
NELL’IMMAGINE: Edward Hopper, Room in New York, 1932
…mi piace il tuo passaggio: riconquisto momenti di assoluta libertà che agevolano la riflessione. #ioguardosemprepositivo anche nella “solitudine”
grazie Antonio