Loading

La tecnologia ci dà una mano. Anche se molti di noi non riescono ancora a fidarsi fino in fondo. Diciamoci la verità, gli algoritmi saranno pure perfetti, procedimenti e calcoli saranno pure infallibili, ma nessuno è riuscito a prevedere, nemmeno per lontane ipotesi, quello che sarebbe successo. Nessuna avvisaglia, nemmeno un accenno da parte delle macchine, dei robot. L’intelligenza artificiale sarà pure intelligente, ma la pandemia non l’aveva prevista.

E così, oltre all’utilizzo di Internet, anche da parte dei più sprovveduti, cioè di quelli che non avevano mai messo le mani su una tastiera, abbiamo scoperto, se ce n’era bisogno, ed evidentemente ce n’era, di essere deboli, vulnerabili, umani. Umani, si, e consoliamoci di questo. Il Covid ha ribadito che a prevalere su tutto è la natura, e non c’è algoritmo che tenga.

Eppure parliamo con soddisfazione di civiltà digitale, di strumenti tecnologici che hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere, di robotica e automazione, di infrastrutture veloci e grandi capacità di calcolo. E soprattutto parliamo di macchine che riescono a leggere il pensiero. Conoscono i nostri gusti, prevedono i nostri acquisti, ci inviano sul telefonino le pubblicità che agevolano le nostre scelte. Il tutto con una velocità un tempo inimmaginabile. Tutto questo perché le macchine si basano sui dati raccolti, sulla massa di informazioni prodotta dalla Rete, sui software che analizzano i nostri comportamenti. Ma stavolta no, nessuna previsione sul covid19, sul nemico invisibile. Gli algoritmi avrebbero dovuto allertarci, me niente da fare. Oramai vengono impiegati dappertutto, perché non farlo anche su questo tipo di malattia?

Forse la prossima volta saranno più attenti, dicono gli esperti. E che ci serva da lezione la pandemia. Ora anche i numeri di questa catastrofe saranno impiegati nei data base. E il prossimo virus non ci coglierà impreparati.

Il fatto è che guardiamo ad un futuro fatto solo di dati, software e piattaforme, dimenticando quello che siamo. Non è una critica alla tecnologia, che pure ci risolve una serie di problemi, ma forse è una critica a noi stessi.

Immagine di copertina: Keith Haring, “Tuttomondo“,1989, murale realizzato sulla parete della Chiesa di Sant’Antonio a Pisa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Top