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Navighiamo per mari immensi dove l’orizzonte appare sfuocato.  Il senso di smarrimento e di vuoto, invece, è concreto, palpabile. Facciamo finta di niente, eppure siamo proprio noi, pensionati analogici, a rendercene subito conto. Prima dei social e di un certo tipo di tecnologia avevamo le idee più chiare. Oggi siamo confusi, perduti a volte. Non poche volte. Molte volte. La tecnologia facilita la vita, si. Ma qual è il prezzo da pagare?

In Rete si trova ogni risposta ai nostri interrogativi. La memoria però, quella, l’abbiamo persa. Troppi dati, un flusso continuo di informazioni buttate dentro questo mare dove nessuna bussola ci ha mai seriamente guidati. Migliaia e migliaia di pagine digitali, link che ci portano da una parte all’altra dell’oceano. Mentre legge un argomento se ne presenta subito un altro senza nessun criterio, senza nessun ordine. Il caos digitale, dove c’è tutto e niente. Dove a farla da padrone è la distrazione. Sì, digitali distratti, senza un filo conduttore, continuamente stimolati dagli smartphone e dagli altri dispositivi ma allo stesso tempo isolati in noi stessi, con poca capacità mnemonica.

Si, non riusciamo più a ricordare, perché la funzione psichica di riprodurre immagini ed esperienze non è più allenata. L’uso dei videoterminali altera i nostri meccanismi cerebrali. E le azioni che consentono di passare da un compito all’altro rallentano. Aumenta, invece, l’egocentrismo. Parlare di se stessi sui social provoca soddisfazione, i centri della ricompensa del cervello sono più attivi. Vengono attivate le stesse sinapsi di chi usa sostanze stupefacenti. Condividiamo i post e controlliamo continuamente se abbiamo ricevuto like. Così siamo indotti a scrivere nuovi messaggi. Gli studiosi parlano di stress cronico. Si abbassano le difese immunitarie. Forse dovremmo cambiare rotta.

Nell’immagine: Pieter Bruegel il Vecchio – Veduta del porto di Napoli – 1556

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